LA LEGGENDA DELLO SCUDO DI BRONZO

Se l’inizio dell’era romana, fin dalla sua nascita, era stata costellata di tanta leggenda, così dobbiamo dire che le cose continuarono anche sotto il regno di Numa Pompilio.

Nel 707 a.C. sotto il regno di Numa Pompilio avviene un fenomeno strano; Roma è flagellata da una pestilenza piuttosto importante e non era, in quanto città giovane, preparata a questi eventi, ma la fortuna di Roma era che da lassù qualcuno vegliava in suo favore.

La pestilenza, ad un certo funto cessò rapidamente e nemmeno i virologi del tempo sapevano come spiegarselo. La pestilenza cessò quando, improvvisamente, dal cielo scese uno scudo di bronzo, che il Dio Marte in persona consegna al Re.

In pratica il Dio Marte, un bel giorno, di primo mattino, compare ai piedi del letto del Re Numa con uno scudo di bronzo e dice a Numa “tienilo che ti potrà servire”.

Quel giorno, coincidenza vuole, che la pestilenza cessò!

In realtà il dio Marte non era sceso dal cielo con questo scopo, egli aveva appena acquistato un nuovo scudo e non sapeva dove mettere il vecchio, lassù nell’olimpo non lo voleva nessuno, perciò pensò bene di regalarlo al Re di Roma che non poteva certo rifiutare un regalo da un dio.

Ma il popolo reagì diversamente, iniziò a pensare che lo scudo fosse magico e chi lo possedeva sarebbe stato potente.

Da quel momento, però, Numa cominciò ad aver paura che qualcuno potesse rubarglielo e perciò ordinò al fabbro di corte di crearne altri dodici uguali, che egli diede a 12 giovani patrizi, confondendo coloro che se avessero avuto brutte intenzioni non sarebbero stati in grado di riconoscerne l’originale.

Così quello scudo divenne un simbolo di potenza e di comando… in onore di questo simbolo durante le idi di marzo i giovani patrizi portavano in processione i loro scudi, danzando e cantando, poi le riponevano e da quel momento, fino alle prossime idi di marzo, non si potevano più intraprendere azioni militari, perché avrebbe portato male.

Come tutte le superstizioni, anche questa, rimase per molto tempo in auge e nessuno osava infrangerla; rimane comunque una di quelle panzane credulone fatta per quei creduloni degli antichi romani…

AH… dimenticavo, anni dopo, pare che un certo Otone decise di fare una guerra senza badare a questa superstizione e… sarà un caso ma…. Perse la guerra…!!!

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NUMA POMPILIO

Contrariamente da quanto abbiamo scritto e che scriveremo in seguito, occorre subito avvertire gli ignari lettori che non si hanno notizie certe che questo personaggio sia veramente esistito, perciò stiamo narrando sul nulla, quelle che noi definiremmo il frutto di “fonti anali” (fonti ampiamente inattendibili).

Secondo quanto sopra premesso e quanto a noi tramandato, il quadro rappresentato da questo Re assomiglia molto di più ad un santo o ad un Papa piuttosto che ad un Re antico.

Devoto, religioso, costruttore di templi, pacifico e provetto organizzatore di ordini religiosi, creò, con grande gaudio popolare, delle feste religiose per onorare tutti gli Dei presenti, essendo parecchi gli dei presenti a quel tempo, molte furono le festività inaugurate.

Gli esperti antichi tendono ad attribuire a questo Re la costruzione del primo Tempio di Giano, che quando aveva le porte aperte simboleggiava guerra, mentre significava pace quando le aveva chiuse, e la nuova disposizione del Tempio di Vesta, caratterizzato dalla presenza del fuoco sacro e dal sacerdozio delle vergini vestali, tutto da verificare!

Il suo regno durò ben 43 anni e durante tutto questo periodo, Roma, non ebbe guerre … questa sì che è una notizia!

Quando Numa morì fu salutato con affetto da tutto il popolo, anche questo non era normale all’epoca, ma nemmeno oggi, e durante il funerale una folla numerosa e commossa lo salutò per le strade.

Questa immagine popolare e pubblica, tramandata dagli esperti, per non si sa quali reconditi motivi, ha oscurato un dato, forse un difetto, difettuccio, celato al grande pubblico perché poco coerente con la sua fama.

Forse che tutti voi non vi sarete domandati, sin dai tempi innocenti della scuola, perché mai si chiamava Pompilio?

Lascio a voi immaginarlo …

LA SUCCESSIONE DI ROMOLO

Nel 716 a.C. muore il mitico Romolo!

Ebbene sì, i fatti finora narrati avvengono mentre sui colli romani regnava indisturbato Romolo ma potrà sembrare strano e poco pubblicizzato, anche Romolo un bel giorno se ne andò … e non fece testamento!

In quegli anni Roma si ingrandì e si popolò, passando da un insieme di villaggi a una città organizzata.

Così alla sua morte Romolo poté lasciare al mondo l’embrione di una grande potenza, ma non fu semplice stabilire chi dovesse succedergli.

I senatori, per un certo periodo, pensarono di potersela cavare da soli, alternandosi al potere, ciascuno, ogni dieci giorni, cercando di passare da una monarchia a una oligarchia, ma fu il caos e i continui cambiamenti di decisioni, con un governo di fatto bloccato e inefficiente oltre che inefficace,  portarono il popolo all’esasperazione, sembrano cronache attuali ma si tratta di cronache antiche; fu così che i senatori si decisero a prendere in considerazione l’elezione di un nuovo e stabile Re a cui affidare le redini del regno ma anche indirizzare tutto il malcontento del popolo.

Roma era, però, ormai divisa fra i senatori di origine Romana e quelli di origine Sabina.

I primi proponevano, come loro candidato, il senatore Proculo, che secondo loro godeva la fama di fortunato, mentre i senatori sabini proponevano il senatore Velesio, noto per le sue doti marinare.

Intanto, occorre dire che tale contrapposizione era sicuramente pericolosa ma se ben indirizzata poteva trattarsi di un primo vagito democratico, con una maggioranza e una opposizione.

La storia di Roma, già da questi primi passi, invece, mostra subito una delle caratteristiche che la renderanno famosa e contribuiranno a chiamarla eterna. Parliamo della dote del compromesso che in questa fase nasce e si strutturerà nel corso dei secoli a venire.

Le due fazioni, stando a quanto tramandato, non riuscivano a far prevalere un candidato, creando un pericoloso stallo istituzionale non ben voluto dalla popolazione, che reclamava un suo Re, anche per poterlo individuare quale, eventuale, capro espiatorio se le cose fossero andate male.

Le due fazioni, allora, si accordarono su un metodo, i Romani avrebbero indicato un candidato fra i Sabini e i Sabini ne avrebbero individuato uno nel campo avverso.

Quando, però, i romani indicarono il Sabino Numa Pompilio, che aveva sposato Tazia figlia di Tazio e di nome Tito (non è uno scioglilingua inventato) che con Romolo governò qualche anno all’inizio della fondazione di Roma, quando i due popoli, dopo il famoso ratto delle sabine, si unirono, spiazzarono i rivali.

Inoltre i costruttori di fake news, già presenti fin dai tempi di adamo ed eva, (cercare sotto la voce “il serpente”) avevano messo in giro la voce, mitica, che egli era nato lo stesso giorno in cui Romolo fondò Roma.

I Sabini rimasero di stucco ed essendo, costui, uomo ben visto e di onorata moralità non proposero alcun altro nome e accettarono il candidato proposto.

Così una delegazione di senatori di ambo le parti fra cui i due senatori candidati Proculo e Velasio, si recarono da lui per dargli la grande notizia, ma fra la sorpresa generale egli non era molto propenso ad accettare tale onere perché riteneva che Roma fosse troppo violenta ed aveva riserve e paura ad accettare di essere così esposto.

Per convincerlo dovettero inventarsi di dotarlo di Body guard, anteprima della guardia pretoriana e, soprattutto, pagargli una sontuosa polizza assicurativa sulla vita, ma alla fine accettò e così Roma ebbe il suo nuovo Re.

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LO SPIETATO RE ASSIRO SARGON II

Questo Re fa parte di quei personaggi che per le loro gesta o in conseguenza di quelle si possono spiegare fenomeni attuali o determinare svolte epocali e vale la pena ricordarlo anche se se sulla sua storia c’è ben poco da sorridere.

Questo Re, piuttosto bellicoso, fu colui che diede il colpo di grazia al regno d’Israele, saccheggiando e distruggendo la loro capitale, Samaria, ma soprattutto deportando tutti i superstiti ebrei in altre città.

Dopo aver fatto questo sterminio, peraltro uno fra i tanti, egli continuò per la sua strada in altre battaglie e, poi, al ritorno, volle ripassare da Samaria per ricostruirla, mettendoci al posto degli ebrei delle popolazioni arabe.

Comprendete, ora, quale grande equivoco ha instaurato costui, mescolando ebrei e arabi, ma soprattutto scambiando la residenza di queste popolazioni nella stessa città.

A seguito di tale azione rimase un solo stato indipendente riconducibile al popolo ebreo, nel 720 a. C. ,il regno di Giuda.

Da quel momento, Samaria, poteva definirsi ancora capitale del regno d’Israele anche se abitata da genti arabe?

Tale quesito è alla base, ancora oggi, di dissidi e guerre.

Questo Re, rese, con le continue spedizioni militari, l’Assiria un impero, devastando villaggi e città in tutto il medio oriente e facendo arrabbiare tutti i popoli confinanti.

Spostò la capitale dell’Assiria da Assur a Ninive, facendo diventare quest’ultima, una città straordinaria e piena d’oro e di argento che il Re aveva saccheggiato nel corso delle sue scorribande.

Insomma, aveva creato senza alcun dubbio un potente impero ma aveva creato anche tanti casini e sparso odio fra i popoli, passando alla storia come uno dei più crudeli condottieri del tempo.

ACANTO DI SPARTA

Dopo aver parlato di storia fatta di guerre e battaglie, fatti e intrighi, personaggi illustri e sconosciuti, folkloristici o Re, ci troviamo a parlare di sport.

ebbene sì, di sport, perchè con l’avvento delle olimpiadi antiche, in Grecia, ma non solo, anche lo sport diventa oggetto di culto e luogo di sorprese, dove personaggi improbabili assumono grande notorietà.

Parlare di sport nel 720 a.C. può sembrare qualcosa di assolutamente fantasioso, eppure, non possiamo evitare di soffermarci e dare uno spazio a questo filone di avvenimenti assunti a grande interesse popolare.

Del resto il fatto che riportiamo fu certamente un momento, oserei dire, epico, anche perché riportato e tramandato e ciò vuol dire che certamente il fatto accaduto non era normale.

Stiamo parlando di un evento accaduto durante i giochi olimpici che, anche se noi non li citiamo, continuarono ad essere effettuati dai Greci nonostante tutte le vicende intricate e violente che riempiono le cronache dell’epoca.

Così avviene che durante questi giochi, un atleta chiamato Acanto e proveniente da Sparta vince tutte e due le gare di corsa lunga e quella che oggi chiameremmo di mezzofondo.

Certamente una grande e lodevole impresa che però da sola non ha nessun risvolto di epico e di speciale.

Ma l’epica impresa assume le sembianze di qualcosa di speciale quando, fra le urla festanti ed eccitate del pubblico, viene riportato il fatto che questo atleta ha gareggiato e vinto tutto nudo! … avete capito bene, tutto completamente nudo!

Tutto ciò evidenzia alcune cose, innanzitutto che il regolamento olimpico era ancora primitivo e non era ancora perfezionato, perciò tale eventualità era concessa e sta di fatto, in ogni caso, che non ci risulta sia più avvenuto, segno che qualcuno ha pensato bene di porre alcune limitazioni.

IL POPOLO DEI MANNEI

Quando si percorre la storia antica non è raro incorrere in popoli assolutamente poco appariscenti e per lo più oggetto di interesse da parte dei cosiddetti esperti che, intuendo la loro poca attrattività hanno creduto bene di tenerseli stretti lasciando il grande pubblico all’oscuro.

Perciò non sempre si hanno notizie sufficienti per farsi un’idea oppure un’opinione sul loro passato e questo si presta ad eccitare la nostra sorridente immaginazione.

Questo popolo che per lungo tempo visse silente accanto ai Cimmeri, ci viene segnalato per la prima volta intorno al 720 a.C. ma di loro si sa poco o nulla, perciò possiamo supporre alcune cose che non possono essere inficiate dagli esperti ma neppure ci sentiamo di sostenerle fino alla morte.

Sospettiamo che i Mannei fossero gli abitanti della Mannea, descritti come uomini pieni di nei, erano noti come provetti macellai e maestri utilizzatori di mannaie.

Da questa descrizione possiamo anche supporre che non venivano importunati da nessuno perché si rischiava di avere la peggio con coloro che utilizzavano fin da piccoli una mannaia.

Il fatto che vissero a lungo accanto ai Cimmeri, popolo noto per la loro frequentazione dei cimiteri, ci fa sorgere il sospetto di macabre collaborazioni all’interno dei cimiteri della zona.

Forse la nostra fantasia e immaginazione ci ha portato troppo lontano, speriamo che almeno vi abbia fatto maturare una gran voglia di saperne di più …. e se ci riuscite fatecelo sapere.

IPPOMENE E ATALANTA

Mentre Roma inizia a macinare le sue storie e i suoi misteri, Nel 723 a.C. è arconte decennale ad Atene un certo Ippomene (qualcuno lo ricorda come Melanione…. Ma più che un nome sembra essere una caratteristica personale del soggetto che non destava sentimenti positivi).

Questo personaggio si presta particolarmente ad una narrazione sorridente e suscita nel nostro animo un certo grado di immaginazione e fantasia che, mescolandosi con la realtà, ne fa un personaggio interessante.

Ippomene era innamorato di Atalanta, una dea bergamasca molto atletica e ancora legata all’età della corsa, infatti chi voleva intrattenere rapporti con lei doveva, letteralmente, corrergli dietro.

Inoltre era molto sadica, ai suoi pretendenti sottoponeva una prova di corsa e se il pretendente non la batteva veniva soppresso.

Perciò avvicinarsi era alquanto pericoloso e Ippomene chiese aiuto alla Dea Afrodite che gli regalò tre mele d’oro e gli disse come utilizzarle.

Si sa che a caval donato non si guarda in bocca ma certamente Ippomene si aspettava ben altro aiuto da una Dea e non certo della frutta benchè essa d’oro … il che non guastava ma, apparentemente, non sembrava idonea allo scopo.

Ma sappiamo anche che le Dee antiche erano fantasiose e teatrali nei loro stratagemmi e tanto fu anche in questa occasione.

Istruito in proposito, quando Ippomene si dichiarò ad Atalanta e questa lo mise alla prova con la consueta corsa, egli, durante la corsa, fece cadere per tre volte le mele e Atalanta, che comunque era pur sempre una donna e in quanto tale attratta dall’oro, ma anche se fosse stato un uomo sarebbe stato lo stesso; Atalanta si fermò ben tre volte a raccogliere le mele astutamente fatte cadere dallo spasimante, consentendo ad Ippomene di vincere la gara.

I due, come si conviene, vissero felici e contenti, finanche ricchi con in dotazione tre mele d’oro, ma ciò non durò molto, infatti Ippomene, con gesto di immensa ingratitudine verso la dea che lo aveva aiutato, profanò un tempio a lei dedicato e fu allora che Afrodite, andata su tutte le bestie, li trasformò in leoni.

Per carità non chiedetemi perchè furono trasformati in leoni e non … che ne so … per esempio in topi, il simbolismo dell’ira degli Dei è assolutamente una materia misteriosa e insondabile, avremmo potuto chiderglielo ma visto il caratterino abbiamo preferito sorvolare.

L’IMBARAZZANTE STORIA DI CANDAULE

Conosciuto nella storia come Re della Lidia, intorno al 733 a.C. è protagonista di una imbarazzante storia perpetrata fra le mura del palazzo reale.

I giornali scandalistici dell’epoca narrano che questo Re era ossessionato dalla necessità di far conoscere e vantarsi della bellezza della moglie che evidentemente ne aveva tutte le caratteristiche.

Questa ossessione lo portò a vantarsene spesso con la sua guardia del corpo di nome Gige che, per un senso di pudore e di imbarazzo, non faceva commenti quando il suo Re, vantandosi della bellezza della moglie, gli dettagliava oltremodo ogni fattezza del corpo della moglie, che non dimentichiamo era anche la sua regina.

Il Re, ad un certo punto, non avendo reazioni dalla sua fidata guardia, pensò che forse non credeva alle sue dettagliate descrizioni e perciò disse a Gige: “se non credi ai tuoi orecchi crederai ai tuoi occhi”, invitandolo a vedere la sua moglie completamente nuda.

Gige, che in fondo era un povero uomo di onorata morale, si rifiutò di accettare tale invito, non volendo disonorare la regina, ma dato che il Re insisteva, egli temeva anche quello che poteva fargli continuando a rifiutare un suo desiderio.

Tormentato da questa scelta si decise ad obbedire e allora il Re preparò un piano per fare in modo che Gige potesse vedere la moglie mentre si spogliava nella camera da letto senza farsi vedere.

Così lo fece nascondere dietro una porta nella camera da letto e, secondo il piano, quando la regina gli avrebbe voltato le spalle egli doveva allontanarsi.

Quella notte, Gige, nascosto dietro una porta della camera da letto della regina vide la stessa che si spogliava per andare a letto e potè notare con i suoi occhi la nuda bellezza della moglie del Re, ma non tutto filò liscio e la regina si accorse di Gige che si stava allontanando, irritata e confusa, al momento non disse nulla ma capì subito che si trattava di un tradimento disonorevole perpetrato dal marito e nel silenzio preparò la sua vendetta.

Il giorno dopo la regina convocò Gige nella sua stanza, ignaro che la regina lo avesse scoperto la sera prima e perciò, come sempre, solerte, egli si recò nella sua stanza.

La regina, dopo avergli detto che lo aveva visto, mentre il povero Gige era diventato paonazzo, gli pose questa insana scelta: Per sanare il disonore di averla vista nuda e in conseguenza di ciò di aver avuto chissà quali pensieri… (non è difficile immaginare l’insieme delle affermazioni, soprattutto se pensiamo che effettivamente la donna fosse molto bella e che per una povera guardia tale visione era del tutto unica e irripetibile, poi, in fondo, pare che Gige fosse anche un bel giovane robusto e ben dotato), la regina gli disse “ o uccidi il Re nonché mio marito e avrai me e il suo regno così potrai vedermi nuda quando ti pare, oppure ti uccidi seduta stante perché non sia mai detto che possano esistere due uomini a corte che la possono vedere nuda.

Gige supplicò la regina di cambiare idea ma quella non desisteva e, allora, Gige scelse di vivere e uccise il Re con il risultato che sposò la regina e diventò il nuovo Re della Lidia.

Più che un racconto di storia sembra essere la trama di un film a luci rosse, tale Gige, peraltro, facendo quella scelta, fece finta di nascondersi dietro l’istinto di sopravvivenza ma in realtà non vedeva l’ora di prendersi tale bellezza e del resto, anche lei, evidentemente stufa di un marito così psichiatramente malato, non vedeva l’ora di rinfrescare il suo istinto con un bel ragazzone come Gige.

Tutta questa vicenda non rimane relegata al quel tempo ma il vizietto psichiatrico del Re Candaule divenne una paranoia studiata e conosciuta, ancora oggi, con il nome di candaulismo dato alla pratica sessuale di esporre le nudità del partner.

IL RE ACAZ

Mentre in Egitto regna il faraone e ultimo sovrano della dinastia libica chiamato Osorkon IV, che fra l’altro non contò un bel nulla; in sicilia i coloni Greci fondano Palermo e Sirakia, ovvero l’odierna Siracusa, che diventa una delle città più conosciute e potenti economicamente di tutto il mediterraneo, ponendo una seria ipoteca alla cultura nell’isola.

Se questo era il contesto più conosciuto di questo periodo della storia, a noi è sembrato più interessante raccontare e soffermarci su un personaggio assolutamente dimenticato; il Re Acaz del regno di Giuda.

Il Re del regno di Giuda che vogliamo segnalare è uno di quei personaggi monelli che devono la loro notorietà ai racconti biblici e che, come in questo caso, vengono volutamente dimenticati dalla storia.

Il suo, del resto, fu un regno gestito un po’ a caz, cioè a caso e presumiamo che sia per questo motivo che il profeta Isaia intervenne esponendosi per cercare di aiutarlo, ma contro ogni buon segno e aiuto, Acaz continuava imperterrito a fare quel ca… volo che voleva e così facendo fu sconfitto da tutti i popoli con cui ha avuto a che fare.

Così le prese dai siriani, dagli Israeliti, dagli Edomiti, persino dai Filistei, insomma le prendeva proprio e con questa fama attirava contro di sè qualunque tipo di avversario.

Il profeta Isaia iniziò a prenderlo di mira scagliandogli contro ogni sorta di anatema ed egli, ingenuo, chiese aiuto agli Assiri che fecero finta di assecondarlo per po dargliene di santa ragione.

Descritto come “uomo di poca fede”, visto che non dava retta ai profeti, alla sua morte egli non venne sepolto neppure insieme agli altri Re, si disse per non contaminarne il perimetro e si cercò di dimenticarlo, anche se comunque lasciò per sempre la sua impronta nella storia per il suo modo di gestire che da quel momento in poi, quando capita (… e spesso) viene chiamato un modo di fare a-caz.

TIRTO L’IMPROBABILE VATE DI SPARTA

Mentre nella penisola Italica tutto scorre intorno alle prime peripezie della giovane Roma, nell’antica Grecia incontriamo la prode città di Sparta alle prese con i propri vicini Messeni con i quali intrapresero un contenzioso pesante, elegante allocuzione per non dire una guerra.

Nonostante il valoroso sforzo degli Spartani questi non riuscivano a venirne a capo nei confronti dei fieri Messeni e nonostante lo smisurato orgoglio di cui solo gli Spartani erano capaci, non potendo accettare di rimanere in bilico o senza esito favorevole in una guerra, loro malgrado si rivolsero verso la concorrente città di Atene chiedendo di mandargli un maestro di scuola militare che li potesse illuminare contro i loro nemici.

A quel tempo a Sparta era guidata da un Re, tale Teopompo, piuttosto pieno di sè, gradasso e che, dal nome, crediamo che il popolo Spartano lo ritenesse invincibile perchè pompato dagli Dei.

Atene, che non aveva certo interesse ad aiutare gli Spartani ma che per una questione di mera cortesia non poteva certo rifiutarsi di dare loro un’aiuto, altrimenti gli Spartani l’avrebbero presa male e conoscendo la loro natura irruenta avrebbero potuto reagire in modo poco pacifico e Atene non aveva voglia di iniziare uno scontro con gli Spartani.

Perciò decisero di inviare un uomo, di nome Tirto, forse anche nell’intento di liberarsene e prendere due piccioni con una fava, in ogni caso lo spedirono a Sparta.

Quando gli Spartani lo videro entrare in città, rimasero sgomenti, egli, infatti, era un omino gracile, zoppo e deforme, nulla a che vedere con un capitano di ventura militare o un valente maestro di scuola militare.

Al momento pensarono che gli Ateniesi si fossero presi gioco di loro ma quando costui si presentò ufficialmente, il suo modo di parlare, epico, poetico e zeppo di rimandi olimpici di Dei e di veggenze, conquistarono i cuori dei valorosi guerrieri Spartani che lo accolsero come loro vate.

Costui amava anche cantare e certe canzoni poetiche con rimandi valorosi divennero la colonna sonora degli Spartani in battaglia.

Tirte, in fondo era l’essenza stessa dei valori Spartani e seppur inutile nel fisico, egli fu utilissimo per la mente.

Grazie all’impulso poetico ed epico nonchè alle canzoni battagliere di Tirto, La prima guerra messenica fu così vinta da Sparta guidata dal suo Re Teopompo che prese Tirto come suo consigliere privato fra lo stupore degli Ateniesi che informati di tale successo si morsero le mani per non averlo sfruttato in patria.