GILGAMEŠ, RE DI URUK
Quando gli dèi crearono Gilgameš, gli diedero un corpo perfetto (beato lui). Gli donarono la bellezza, il coraggio, e lo resero terribile come un toro selvaggio.
Gilgameš regnava sulla potente città di Uruk, che sorgeva sul fiume Eufrate, fu lui a far innalzare le mura della città e ciò è comprensibile soprattutto perché voleva evitare che degli stranieri potessero insediare il suo potere e suoi vizi.
Gilgameš era un rompipalle clamoroso. Non dava requie alla popolazione: suonava il segnale d’allarme per puro divertimento, giorno e notte, e la sua lussuria non lasciava intatta una sola ragazza della città. Gli abitanti di Uruk, stanchi di queste continue vessazioni, si lamentarono presso gli dèi mandando loro una lettera raccomandata che diceva:
– Gilgameš è il pastore della nostra città, eppure è arrogante e prepotente. Non lascia la vergine all’amante, la figlia al guerriero, la moglie al nobile, insomma se le fa tutte e ci fa tutti cornuti – .
CREAZIONE DI ENKIDU
An, il dio del cielo, che era anche il patrono della città di Uruk, lesse la raccomandata dei suoi abitanti. Si recò all’assemblea divina e disse: – Una dea ha fatto Gilgameš forte come un toro selvaggio, nessuno può resistere alle sue armi. Eppure tratta il suo popolo con arroganza, suona l’allarme giorno e notte, non lascia intatta una sola fanciulla della città.
Allora gli dèi si rivolsero ad Aruru, la signora della creazione di origine sarda, e le dissero: – Che cavolo hai combinato quando hai plasmato Gilgameš. Adesso crea un eroe alternativo che gli stia alla pari. Che essi lottino tra loro e lascino Uruk in pace!
Così la dea immerse le mani nell’acqua e con l’argilla plasmò il nobile Enkidu.
Libero e selvaggio, Enkidu viveva con gli animali e sembrava anche di aspetto un animale e chi ebbe modo di vederlo si fece prendere dal terrore, più simile a un animale che a un uomo, coperto di peli e con lunghi capelli, un antenato dei figli dei fiori.
SEDUZIONE DI ENKIDU
Un cacciatore che lo avvistò raccontò il fatto ad un giornale di Uruk. Gilgameš, che usava tenersi informato, lesse la notizia e capì subito tutto (faceva pratica di veggenza) annusando puzza di bruciato.
Furbo e scaltro mandò a chiamare la Miss Uruk dell’anno, la bellissima Šamhat e gli disse di appostarsi presso la pozza d’acqua alla quale Enkidu andava a dissetarsi. Quando Enkidu la scorse nuda presso la pozza d’acqua, fu preso da grande passione, la agguantò e la amò intensamente per sei giorni e sette notti. Queste performance non piaquero a Gilgames che si preoccupò parecchio.
Intanto la bella Šamhat voleva tenersi tutto per sé il nuovo amante, dove ne avrebbe trovato un altro con così tanta resistenza, e si propose.
Enkidu accettò.
GILGAMEŠ ED ENKIDU
Gilgameš intanto inanellava brutti incubi notturni e si lamentava con la madre Ninsun, che era sacerdotessa al tempio di Utu, la quale gli consigliò una bella tisana pur rendendosi conto che il figlio temeva la concorrenza di Enkidu con le donne.
Vennero così le feste di capodanno. Gilgameš uscì dal palazzo reale e si recò al tempio di Inanna, detto anche il tempio delle culle, dove le vestali cantavano la ninna nanna, dove, peraltro, era stata allestita la festa in suo onore con il grande letto nuziale. Ma quando Gilgameš giunse alle porte della città, un uomo venne fuori dalla folla e gli sbarrò la strada, la scena verrà presa ad esempio nei moderni western come mezzogiorno di fuoco.
Era lui, il prode Enkidu.
Gilgameš si fece avanti. I due eroi si avvinghiarono, sbuffando come tori, provando ciascuno il suo vigore sull’altro. Ruppero gli stipiti delle porte, i muri tremarono e le assicurazioni fallirono.
Fu allora che i poteri forti intervennero e Gilgameš ed Enkidu si abbracciarono e la loro amicizia fu suggellata.
GILGAMEŠ NELLA FORESTA DI CEDRI
Una notte Enkidu fu turbato da un sogno nel quale vide di essere trasportato nel regno dei morti, Enkidu si svegliò triste e turbato: un’ombra gli oscurava il volto, lui non lo sapeva ma era un’eclissi di sole.
Gilgameš, nel vedere il suo compagno depresso, gli propose di fare una gita nel Paese delle Montagne, dove si trovava la Foresta di Cedri. Enkidu a cui non piaceva la montagna, scongiurò l’amico a cambiare programma e gli propose una bella scorpacciata di fanciulle da portare a letto. Enkidu dsse: “O mio re, tu va pure verso il Paese delle Montagne, cavoli tuoi, ma io navigherò verso la città a caccia di fanciulle.
Gilgameš lo apostrofò: – Pensi sempre alla stessa cosa! ma Enkidu soggiunse: – che pi…. ma i due non si separarono e insieme andarono verso la montagna.
Gilgameš ed Enkidu impiegarono tre giorni per coprire una distanza che avrebbe richiesto una marcia di sei settimane. Giunsero ad un’immensa foresta, il cui guardiano di nome Humbaba era come un mostro. Ma adesso Humbaba stava riposando e mentre Enkidu stava chiacchierando, distratto, nel tentativo di aprire un grande portone si schiacciò la mano, queste cose non dovrebbero essere tramandate perché sono figuracce epiche… ma così avvenne!.
Per dodici giorni Enkidu giacque gemendo dal dolore e attesero che Enkidu guarisse, poi entrarono nella foresta e raggiunsero il monte dei cedri, quel monte alto e maestoso sulla cui vetta gli dèi si riuniscono a far festicciole.
Giunti alla base del monte, Gilgameš abbattè il primo cedro e da quel giorno è diventato il simbolo negativo degli ambientalisti. Allora un sonno incomprensibile lo avvolse, era da troppo tempo che non scopava una donna. Enkidu lo richiamò più volte, finché egli si svegliò. Allora supplicò Gilgameš di evitare altri tagli di alberi, ma Gilgameš rispose:
– Che cosa potrà andarci male? Se il tuo cuore ha paura, getta via la paura. Se in esso vi è il terrore, getta via il terrore. Prendi in mano la scure e agisci! -… e poi si riaddormentò fra lo sgomento di Enkidu.
Quando Humbaba udì da lontano il rumore degli alberi che venivano abbattuti, uscì infuriato dalla sua tana (era iscritto al WWF) e corse verso di loro. Gilgameš aveva già tagliato sette cedri, quando gli alberi si aprirono e il volto orrendo di Humbaba si levò su di lui. Il mostro rivolse su Gilgameš l’occhio della morte. Ma subito Gilgames gli sputò nell’occhio, accecandolo e paralizzandolo.
Allora Gilgameš rovesciò il mostro e gli legò i gomiti assieme.
A Humbaba salirono le lacrime agli occhi: – Gilgameš, fammi parlare. Io non ho mai conosciuto una mamma.
Gilgameš fu mosso a compassione e disse: – O Enkidu, il prigioniero vuole la sua mamma ?-
– Signore, se tu permetterai a questo mostro di andare via libero, non farai mai ritorno alla tua città -.
– O Enkidu, non è vero , sei un cattivone! – gridò Humbaba.
Allora Enkidu colpì Humbaba con la spada, una, due, tre volte. Al terzo colpo il mostro crollò al suolo. In tutta la foresta vi fu gran subbuglio perché il guardiano era morto. Gilgames lo guardò terrorizzato e pensò che forse sarebbe stato meglio in futuro non nominare più la mamma.
IL TORO DEL CIELO
Dopo la vittoria, Gilgameš tornò ad Uruk. Si lavò la lunga chioma e si fece un trattamento contro le pulci e pulì le armi, gettò via gli abiti impolverati dal lungo viaggio e li sostituì con vesti alla moda. Quando ebbe indossato la corona, la dea Inanna abbassò gli occhi su di lui e fu presa da passione, finalmente tornò a scopare.
La dea voleva qualcosa in cambio Ma Gilgameš sdegnosamente rispose alla dea:
– Che cosa ti dovrei dare in cambio dopo averti posseduta? Io potrei darti profumi per il corpo e vestiti alla moda, potrei darti cibo, soldi e gioielli, una casa in montagna, una Ferrari, un panfilo? E poi, mia dea, a quale dei tuoi amanti sei rimasta sempre fedele? Quale dei tuoi fidanzati è salito al cielo? Tutti li hai lasciati vivere in mezzo alla difficoltà, abbandonandoli dopo averli usati. E per quanto mi concerne, sì, tu mi amerai, ma poi mi riserverai lo stesso trattamento!-
Insomma Gilgamesh riconobbe nella tentazione una donna poco di buono e si trattenne dal suo regale vizio (altro che dea… sembrava una p…….)
Inanna, al rifiuto di Gilgameš, salì nell’alto dei cieli al cospetto del dio-cielo An. – Padre mio, Gilgameš mi ha coperta di insulti. Dammi Gugulanna, il Toro del Cielo, affinché io possa distruggerlo. Dammelo! Se rifiuterai la mia richiesta, io sfonderò le porte degli inferi e condurrò i morti su a mangiare cibo con i vivi!-
Era una richiesta terribile, soprattutto perché i morti erano tanti da sfamare e poi erano davvero maleducati.
Si sa, era noto anche a quel tempo che i ricatti delle donne sono terribili.
E così Gugulanna, il Toro del Cielo, entrò in Uruk. Subito Gilgameš ed Enkidu corsero ad affrontarlo e lo uccisero facendo inc…avolare la dea. Fu allora che Enkidu strappò via la coscia destra del toro e la scagliò sul volto della dea. – Se potessi metterti le mani addosso… – diceva, peraltro tale atteggiamento era assolutamente comprensibile in quanto soffrivano di astinenza da mesi.
MORTE DI ENKIDU
Pochi giorni dopo, Enkidu si ammalò. Chiamò Gilgameš: – Amico mio, la grande p….. mi ha maledetto e io non morirò in battaglia, dovrò morire nella vergogna e senza aver più scopato -.
E girato il capo, morì.
Gilgameš lo supplicò di non fare scherzi, che gli avrebbe procurato quaranta vergini ma il cuore dell’amico non batteva più. Allora il Re, triste, se ne andò per un po’ di tempo nel deserto, qualcuno dice in dolce compagnia, qualcuno invece lo vide seriamente piangere.
ALLA RICERCA DELLA VITA
Per sette giorni e sette notti Gilgameš pianse l’amico. Poi, quando il lutto fu finito, Gilgameš si accorse di essere rimasto solo.
A quanto dicevano i sapienti, c’era un solo uomo a cui non era stata data in sorte la morte. Era Utanapištim, colui che gli dèi avevano salvato dal Diluvio e lo avevano posto a vivere nella terra felice di Dilmun. Lui solo tra gli uomini aveva ricevuto l’immortalità. Fu così che Gilgameš decise che lo avrebbe trovato e da lui avrebbe ricevuto il segreto della Vita.
Ma di scopare ancora nulla!
Gilgameš partì dunque da Uruk verso il deserto, e dopo molti giorni di cammino giunse ai piedi di una montagna. Pregò Ninna Nanna, il dio del sonno, e si mise a dormire.
Dopo lunghe settimane di viaggio, Gilgameš giunse al monte Mašu. Tra i due picchi si trovavano le porte da cui il sole usciva ogni giorno per attraversare il cielo e fare una gitarella fuori porta. A guardia del monte vi erano i due uomini-scorpione e il loro sguardo colpiva gli uomini a morte. Gilgameš si coprì il volto con le mani per non farsi riconoscere. L’uomo-scorpione si rivolse allora a Gilgameš: – Perché hai affrontato un viaggio così lungo, perché ti sei recato così lontano? Perché ti copri il volto? Tanto sappiamo chi sei, lo sanno tutti. Dimmi il motivo della tua venuta?-.
Rispose Gilgameš: – Per Enkidu, molto lo amavo. Non pensate male, a me piacciono le donne, però egli era un amico e adesso è morto. Per questo sono giunto qui alla ricerca di Utanapištim: gli uomini dicono che egli abbia trovato la vita eterna. Desidero interrogarlo sulla vita e sulla morte -.
E l’uomo-scorpione: – Va’, Gilgameš. Ti permetto di attraversare il monte Mašu. Possano i piedi riportarti a casa sano e salvo, della serie sono cavoli tuoi, a tuo rischio e pericolo, insomma, non voglio responsabilità (… e gli fece firmare un modulo apposito). La porta della montagna è aperta, ma ricordati, qui è vietato scopare… –
Uscito dalla montagna, Gilgameš si trovò nel giardino degli dèi: intorno a lui stavano cespugli carichi di gemme, frutti di corniola e foglie di lapislazzuli; invece dei rovi vi erano ematiti e agata e perle del mare. Mentre l’eroe camminava per questo giardino meraviglioso e già assaporava la tentazione di riempirsi le tasche, venne a lui Utu, il dio del sole, e vide che Gilgameš era vestito da schifo e gli disse di tornare indietro a cambiarsi Rispose Gilgameš: – Ma che sei scemo! con tutto quello che ho passato adesso dovrei rinunciare perché non ho il vestito adatto?-
SIDURI
Passeggiando per quel giardino incantato, Gilgameš giunse sulla riva del mare, dove trovò la casa di Siduri, la donna della vigna, colei che faceva il vino. Non appena vide Gilgameš, si spaventò, perché egli aveva una pessima fama e corse a nascondersi in casa. Gilgamesh allora gli disse: -ti prego sono mesi che non mi sfogo…! –
Siduri rispose: – Se è così allora vieni sul mio letto, perché questo è il fato dell’uomo -.
Ma Gilgameš disse: – Fanciulla, dimmi, qual è la via per Utanapištim? – e mentre lo chiedeva si stava mordendo i co…..
Colei che fa il vino non credeva alle sue orecchie. Siduri, rispose: – L’isola felice di Dilmun si trova al di là dell’Oceano. Al centro dell’Oceano scorrono le acque delle morte, e come potrai tu valicarle? Tuttavia, Gilgameš, giù nel bosco troverai il barcaiolo Uršanabi. Lui conosce la strada, e forse potrà aiutarti -.
SULLE ACQUE DELLA MORTE
Gilgameš trovò Uršanabi, ma poiché il battelliere lavorava alla prua serpentina del battello e non gli dava retta, Gilgameš fu colto dall’ira, afferrò un oggetto di pietra che si trovava lì accanto e lo fracassò al suolo.
A questo punto Uršanabi si voltò verso di lui. – Senti bello ma chi credi di essere? Io sono Uršanabi, il battelliere di Utanapištim -.
– E io sono Gilgameš, il re di Uruk, colui che ucciso Humbaba e il Toro del Cielo e dopo la botta che ti ho dato avrei dovuto vederti morto -.
– Se tu sei quel Gilgameš che ha ucciso Humbaba e il Toro del Cielo, perché sei così triste e inc….. –
– Fischia, allora siete tutti d’accordo, lo volete capire o no che sono mesi che non scopo…! –
Uršanabi gli disse: – Gilgameš, le tue stesse mani ti hanno impedito di varcare le Acque delle Morte. Quell’oggetto di pietra che hai infranto mi dava la facoltà di trasportarmi oltre l’Oceano, senza che le Acque della Morte mi toccassero. Ora non ti resta che andare nella foresta, Gilgameš. Con la tua scure taglia centoventi pertiche di sessanta cubiti di altezza, spalmale di pece e bitume e poi portale alla barca -.
Gilgameš, dopo deprecabili segni di sfiga, acconsentì alla richiesta e, terminato il lavoro, Uršanabi spinse il battello nell’Oceano. Dopo tre giorni di viaggio il battello entrò nelle Acque della Morte. Allora Uršanabi disse a Gilgameš: – Avanti, prendi una pertica e spingi la barca, ma che le tue mani non si bagnino in queste acque o sarà la tua fine.
Gilgameš fece come Uršanabi gli aveva ordinato, ma dopo aver spinto la barca dovette lasciare la pertica perché le acque della morte l’avevano corrosa. Allora prese la seconda pertica e diede una nuova spinta, e così via. Dopo centoventi spinte, Gilgameš aveva adoperato l’ultima pertica. Allora Gilgameš si spogliò e usò le sue braccia come alberi e le sue vesti come vela.
Il battelliere ebbe pietà dello sfigato e lo condusse da Utanapištim, a Dilmun, nel luogo del transito del sole.
UTANAPIŠTIM
Utanapištim si trovava nella sua isola felice, a Dilmun, e vide avvicinarsi la nave di Uršanabi. Notò la figura di Gilgameš, e si chiese chi fosse quello straniero.
Quando la barca approdò, Utanapištim avvicinò Gilgameš e gli chiese: – Qual è il tuo nome?
– Io sono Gilgameš, il Re di Uruk, colui che ha ucciso Humbaba e il Toro del Cielo -.
– Se tu sei quel Gilgameš che ha ucciso Humbaba e il Toro del Cielo, perché sono emaciate le tue guance e vi è disperazione nel tuo cuore?-
– Mi…… ma allora siete de’ coccio…. non scopo da una vitaaaaa! – gridò Gilgamesh.
-Eppure, Utanapištim, io guardo te e non me la racconti giusta… cosa cavolo mi nascondi?-
– Sta’ bene – disse Utanapištim. Ti rivelerò un mistero divino.
LA STORIA DEL DILUVIO
Tanto tempo prima, narrò Utanapištim, l’umanità era così numerosa che sollevava un tale baccano da disturbare il sonno degli dèi. Così Enlil, il signore del vento, riunì il consesso degli dèi e disse: – Fanno troppo baccano! Così non si può più andare avanti! Scatenerò il Diluvio e distruggerò il genere umano!
Ma il saggio Enki, il signore dell’abisso, che da sempre era l’amico degli uomini, scese nella città di Šuruppak e comparve in sogno al giovane Utanapištim, che era suo sacerdote, e gli disse:
– Utanapištim, ascolta! Abbatti la tua casa e costruisci una nave-, ma quello non capiva e allora gridò più forte: – Abbatti la tua casa, ti dico, e costruisci una nave. Ecco le misure del battello: che abbia la lunghezza pari alla larghezza, che il suo ponte abbia un tetto come la volta che copre l’abisso (tutto ciò era possibile perché egli era un geometra). Entra assieme ai tuoi consanguinei e familiari, e dopo avervi portato dentro da mangiare e da bere, fai entrare tutti gli animali, volatili e quadrupedi -.
Utanapištim, che era a quel tempo disoccupato, non avendo altro da fare costruì la nave. Vi condusse la sua famiglia e il seme di tutte le creature viventi, oltre a tutti i suoi beni.
Alle prime luci dell’alba venne dall’orizzonte una nube nera, mostruosa. Iniziò a piovere e tutti furono presi alla sprovvista, ne il servizio meteorologico, ne la protezione civile diedero l’allarme.
Per sei giorni e sei notti il paese di Sumer venne travolto dalla furia delle acque.
Quando venne l’alba del settimo giorno, la tempesta diminuì, divenne calmo il mare, la piena si acquietò. Utanapištim si affacciò dall’arca e guardò la faccia del mondo. Silenzio. Dovunque si stendeva il mare. Ma come ca…. faccio adesso!
A lungo l’arca cercò la terra, finché comparve una montagna, e lì l’arca s’incagliò e non si mosse.
Allora Utanapištim dopo aver telefonato all’SOS, mandò fuori alcuni uccelli, i quali, non trovando nulla da mangiare né luogo dove posarsi, tornarono sulla nave. Alcuni giorni dopo ripeté l’operazione, e gli uccelli tornarono con le zampe infangate. Quando mandò fuori per la terza volta gli uccelli, questi non tornarono, e Utanapištim gli diede degli stronzi e degli ingrati ma capì che la terra era di nuovo emersa. Allora Utanapištim aprì le porte della nave e tutte le creature uscirono fuori facendo larghi sberleffi.
LA PIANTA E IL SERPENTE
Alla fine del racconto, Utanapištim disse a Gilgameš: – Quanto a te, Gilgameš, se vuoi diventare come me devi tentare questa prova: non hai che da vincere il sonno per sei giorni e sei notti-.
-Con tutto quello che ho passato questo è uno scherzo-, rispose Gilgames. E mentre Gilgameš stava lì accosciato, una nebbia di sonno fluttuò su di lui. Al settimo giorno, Gilgameš si svegliò e disse a Utanapištim: – Mi ero appena addormentato che subito mi hai svegliato-.
Utanapištim prese con sé Gilgameš e lo condusse a farsi una doccia perché era da molto che non si lavava e puzzava come una capra. Quando Gilgameš, rivestito e rifocillato, tornò alla barca di Uršanabi, Utanapištim gli disse: – Gilgameš, ti rivelerò una cosa segreta. C’è una pianta che cresce sotto l’acqua, la Pianta dell’Irrequietezza, detta Vecchio-torna-giovane. Ha spine come il rovo. Ferirà le tue mani, ma se riuscirai a prenderla sarà la tua salvezza, perché ha la virtù di ridare agli uomini la gioventù perduta. Gilgameš che pensò “ meglio che niente” ripartì con Uršanabi. Arrivato nel punto indicatogli, si legò ai piedi pietre pesanti e si tuffò dalla barca. Trascinato dalle pietre sul fondo del mare, Gilgameš vide la pianta che cercava. La afferrò e le spine gli ferirono le mani, ma l’eroe, incurante del dolore, riuscì a strapparla. Tagliò le funi che lo ancoravano alle pietre e tornò in superficie. Mostrò la pianta a Uršanabi e disse:
-Glielo fatta a quel corvaccio porta jella-
– Porterò questa pianta a Uruk, lì la darò da mangiare ai vecchi, i quali torneranno giovani e forti. Infine ne mangerò io stesso e riavrò tutta la perduta gioventù, anzi la terrò in frigorifero così da averne una scorta sufficiente, i vecchi di Uruk è meglio che rimangano vecchi.
Dopo un lungo viaggio, si fermarono per la notte, presso un motel e mentre si stava rinfrescando, un serpente si avvicinò e mangiò la pianta. Subito, l’animale perse la pelle, tornando giovane, e fuggì via. Quando Gilgameš si accorse del fatto, pianse a lungo, sconsolato, maledì per sempre il serpente, prese a calci tutto quello che aveva a portata di piedi e si rivolse alla sua guida in modo minaccioso.
– O Uršanabi, è per questo che ho faticato con le mie mani, è per questo che ho rinunciato a scopare le fanciulle del mio regno? Per me non ho guadagnato niente; non io, ma questa bestia della terra ne gioisce!-
E così fu che Gilgameš perse l’immortalità.
RITORNO A URUK
Alla fine, dopo un lunghissimo viaggio, Gilgameš ritornò finalmente a Uruk. Uršanabi l’aveva accompagnato. Qui giunti, Gilgameš ordinò ad Uršanabi di salire sulle mura e gli fece fare un tour della città.
Vedi tutto questo è mio e io sono andato in giro a perdere tempo, potevo scopare quanto e chi volevo e invece…
MORTE DI GILGAMEŠ
Una notte il dio Enlil comparve in sogno a Gilgameš e gli disse:
– O Gilgameš, tu sei stato destinato ad essere Re: Non ti abbattere, non essere depresso. È stato dato a te il potere di giudicare chi tra gli uomini ha commesso il male, è stato è stato dato a te il potere di primeggiare sull’umanità, è stato dato a te il potere di non avere avversari, è stato dato a te il potere di vincere le guerre da cui nessuno torna vivo, è stato dato a te il potere di condurre assalti da cui nessuno può sfuggire. Ma che ca… vuoi di più-.
Gilgamesh allora capì che doveva spassarsela e dopo centoventisei anni di regno, Gilgameš, il re di Uruk, ebbe la sorte comune dell’umanità. L’uomo che aveva combattuto contro esseri divini e aveva viaggiato ai confini del mondo, giacque un giorno sul suo letto, senza vita.
A Gilgameš succedette il figlio Urlugal, che regnò trent’anni. A Urlugal succedettero altri sei sovrani. Poi la città di Uruk venne sconfitta e la regalità passò alla città di Ur.
Della serie, tanto scrivere per nulla, anche lui ha fatto la fine uguale a tutti gli altri.