
Figlio di Thutmose III e della sposa reale minore, se non fosse morto prematuramente il figlio primogenito del padre, avuto dalla grande sposa reale, egli non sarebbe mai stato faraone e questo ebbe notevole importanza psicologica per il suo popolo che lo guardava in modo sospetto e misurava la sua credibilità con una certa prevenzione.
Nacque a Menphi dove risiedette a lungo ricoprendo l’incarico di sovraintendente all’importazione del legname per i cantieri navali di Peru-Nefer. Questo incarico, apparentemente umile, gli ha permesso di evitare la vita invidiosa e insidiosa alla corte del padre.
In questo periodo di libertà dagli obblighi di corte il ragazzo si diede alla pratica sportiva anche agonistica divenendo un atleta molto apprezzato e anche protagonista di performance atletiche di successo.
questa fama di atleta fu molto utile alla sua carriera di faraone perchè prima di diventarlo era già apprezzato come sportivo ma soprattutto il popolo apprezzerà le sue doti applicate alla guerra.
Del resto la deriva imperialista e dittatoriale dei faraoni si conferma con l’avvento di costui che aggiunge al suo nome l’appellativo “Horo d’oro”. Ciò non è uno scioglilingua e neppure un ritornello di una canzonetta da spiaggia ma significa “sottomettere i popoli con la forza”, evidentemente nella storia dell’uomo questa pratica filosofica ha carattere pandemico.
Una nuova topica descrive, fra l’altro, le qualità fisiche del faraone: appassionato di cavalli, che addestrava personalmente e ai quali faceva compiere con maestria ogni sorta di evoluzioni, denotando una sorta di progenitura da circense; egli, inoltre, governava una nave con la massima abilità grazie all’uso esperto dei remi (!!!) e le sue frecce trapassavano spesse placche di rame (ma dai come si fa a credere a ‘ste cose!). Dietro l’evidente retorica di tali proclami si manifesta una mentalità particolare: la maggior parte degli alti dignitari del suo regno furono scelti non tra i rampolli di stirpi potenti, ma tra i compagni di giovinezza o di combattimento, i quali non potevano che raccontare improbabili prodezze del loro illustre compagno e soprattutto benefattore.
L’atleta che era in Lui si dimostrò utile quando alla morte del padre, che va ricordato era un caratterino dispotico e tirannico, dovette fronteggiare le numerose rivolte nei possedimenti asiatici innescate dalla scommessa che il novo faraone non fosse come il padre ma un po’ giocherellone.
Invece egli corse immediatamente contro i rivoltosi e li mise a tacere, con le buone, alcuni, con le cattive altri e se ne tornò a casa portandosi con sè ben sette princìpi prigionieri e un bottino d’oro che riversò nelle casse del tempio di Amon addomesticando i potenti sacerdoti del tempio e assicurandosi il loro appoggio.
Ma come spesso accade, per farsi accettare occorreva farsi temere e per far ciò occorreva espletare gesta violente, unico modo per far tacere ogni tentennante suddito.
L’occasione fu data in occasione di una festa al tempio di Amon dove egli, in barba agli accordi, fece sacrificare in piazza sei dei princìpi prigionieri fracassandogli la testa con una mazza per poi appenderli a testa in giù sulla prua della sua nave.
Potete scommetterci che da quel momento il popolo lo adorò.
Vi domanderete che fine abbia fatto il settimo prigioniero, ebbene non venne graziato ma portato a sud in Nubia, dove era stata sedata una rivolta e anch’esso giustiziato e appeso al muro di cinta della città di Napata alfine che tutti potevano vedere di cosa fosse capace il nuovo faraone.
Da aitante atleta osannato dalle folle sportive a temuto faraone osannato per timore … so che molti si domanderanno cosa c’è da sorridere in questa storia e in effetti ci sono frangenti dove il brivido del sorriso lascia spazio al brivido della paura.