
Nel tumultuoso mondo della regalità egiziana, se c’è qualcosa che trionfa sull’amore, è la convenienza politica. Ecco come Thutmose II, che ancora cercava di capire come si mette un nastro nei sandali, finì per sposare la sua potente sorellastra, Hatshepsut. Non si tratta di un normale matrimonio fraterno, pensate a due tigri nel medesimo recinto, con la sola differenza che entrambe vogliono la corona che si trova al centro.
Hatshepsut, per inciso, non era una qualsiasi figlia di faraone. Era un’autentica tigre del Nilo, capace di soffiare via la sabbia del deserto con un solo soffio. Alta come una palma, con occhi penetranti come i raggi del sole egiziano, era una presenza ineludibile. Una donna che comandava la stanza semplicemente entrandoci.
E poi c’era Thutmose II, un giovane faraone dal fascino discutibile, sebbene egli preferisse definirlo “carisma insolito”. Impegnato a mettere in mostra il suo petto fluttuante nei costumi del fiume, era visto più come un animale domestico esotico che come un regnante. Alcuni sospettano che fosse in realtà lui a essere ammaliato dalla forza di Hatshepsut, piuttosto che il contrario.
Alla fine, però, si sposarono. Per la cronaca, non ci furono ostacoli all’altare, a meno che non consideriate ostacolo il fatto che la sposa fosse l’erede legittima al trono e il futuro faraone avesse lo spessore di un papiro. Alcuni direbbero che era un matrimonio combinato. Altri, che era una partita di scacchi in cui entrambi i giocatori erano convinti di avere la vittoria in pugno.
Il matrimonio, invero, era un affare piuttosto intricato. Nonostante le affermazioni dei moralisti del tempo, si sospettava che Thutmose II avesse problemi a “sdraiarsi con la moglie”, un problema piuttosto imbarazzante per un faraone, se mi passate l’eufemismo. Mentre alcuni dicono che il suo senso morale glielo impediva, altri maldicenti suggeriscono che, in realtà, Hatshepsut fosse un’opponente troppo formidabile anche in quel contesto.
Il loro matrimonio sembrava più una partita di calcio senza un pallone, piena di sguardi severi e discussioni accese sulla chiave per la stanza del tesoro. Eppure, nonostante tutto, tra complotti di palazzo, pettegolezzi di corte e la costante lotta per il potere, Thutmose II e Hatshepsut riuscirono a mantenere un equilibrio precario. Perché, in fondo, l’antico Egitto non è molto diverso da una moderna soap opera, dove le lotte per il potere, i drammi familiari e l’amore non corrisposto sono all’ordine del giorno. E, onestamente, chi potrebbe resistere a un intrigo del genere?
Con questi presupposti, non c’è da stupirsi se la signora ha poi preferito il “caliente” architetto che se non ricordo male si chiamava Senmut, e che le ha costruito nientemeno che un tempio tutto suo. Le donne, caro Thutmosi, bisogna saperle coccolare!
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Ammesso che Hatshepsut fosse una “donna”. Pare che amasse assumere atteggiamenti msschili, come mettersi la finta barba rituale.
Ci sono donne da cui è meglio stare lontani.
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